Donne e scienza: da Rita Levi-Montalcini alle ricercatrici di oggi dell’EBRI
Data: 11-02-2021
In occasione della Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza promossa dalle Nazioni Unite, che ricorre l’11 Febbraio, la Fondazione EBRI Rita Levi-Montalcini, attenta a questo tema, affronta l’argomento e condivide i traguardi raggiunti dalle sue scienziate nella ricerca neuroscientifica. Questo è il primo di una serie di appuntamenti dedicati all’esperienza delle ricercatrici della nostra Fondazione, che si raccontano nelle interviste: la prima a parlarci della sua esperienza come donna e ricercatrice è Silvia Marinelli, Principal Investigator del Laboratorio “Cellule neuronali e microgliali nella fisiopatologia dei microcircuiti corticali”.
Rita Levi-Montalcini, fondatrice dell’EBRI, ha lasciato in eredità ai giovani ricercatori e ricercatrici dell’istituto la sua determinazione e passione per la ricerca, condizione essenziale per raggiungere traguardi e soddisfazioni. Tuttavia, per una ricercatrice donna la passione per la ricerca può essere più difficile da conciliare con la vita quotidiana, e la determinazione deve essere ancora maggiore.
Ecco l’intervista fatta a Silvia Marinelli.
Quali sono i tuoi interessi di ricerca in questo momento?
“Il mio laboratorio si sta occupando di due tematiche principali. La prima riguarda lo studio della comunicazione tra cellule microgliali (le cellule immunocompetenti del cervello) e neuroni e quindi i segnali che permettono questo dialogo tra sistema immunitario e nervoso. In particolare ora stiamo studiando se la microglia ha una funzione nella formazione della memoria. Si tratta di una domanda di frontiera, dato che attualmente i protagonisti della formazione delle tracce della memoria, i cosiddetti engrammi, sono considerati essere esclusivamente i neuroni. Studiarela funzione della microglia nella memoria è invece fondamentale per comprendere il ruolo della neuroinfiammazione mediata da queste cellule in molte patologie neurodegenerative. Un approccio di ricerca nuovo ed originale. Inoltre stiamo studiando molecole con potenziale effetto neuroprotettivo in modelli di neuroinfiammazione. Per quanto riguarda la seconda linea di ricerca, stiamo studiando i microcircuiti cerebrali, ed in particolare forme di plasticità sinaptica inibitorie come meccanismi che controbilanciano l’ipereccitabilità dei circuiti nervosi. Sappiamo che esistono nel cervello principalmente due tipologie di neuroni, inibitori ed eccitatori, il cui equilibrio è essenziale per il corretto funzionamento di questo organo. Da anni dedico la mia ricerca alla comprensione dei primi, responsabili delle frequenze e dei ritmi cerebrali, ed ora l’obiettivo è di scoprire se queste cellule abbiano anche un ruolo attivo nelle tracce della memoria. In particolare, la domanda che ci poniamo e alla quale cerchiamo di rispondere è se i neuroni inibitori siano attivi durante la fase di archiviazione di una specifica memoria e se questi ultimi si disattivino, come un vero e proprio interruttore, durante il richiamo della memoria stessa al fine di riportarla alla nostra mente, consentendoci di ricordare un dettaglio, un pensiero, un vissuto”.
La Professoressa Rita Levi-Montalcini voleva che EBRI si dedicasse alla ricerca di base, nella consapevolezza che le applicazioni cliniche della ricerca biomedica dipendono da una buona ricerca, che muove in avanti la frontiera della conoscenza. Tu hai fatto soprattutto ricerca di base preclinica. Ci sono risvolti applicativi nella tua ricerca, e quali sono?
“Nell’ambito dello studio di molecole antiinfiammatorie e neuroprotettive, abbiamo iniziato una collaborazione con il Policlinico Gemelli e l’Università Cattolica di Roma, per studiare l’effetto neuroprotettivo della molecola NGF painless (una variante della molecola NGF messa a punto da Antonino Cattaneo) nella neurodegenerazione delle cellule ganglionari della retina nel glioma pediatrico del nervo ottico. Si tratta di un tumore pediatrico a basso grado di malignità, che però può compromettere in modo irreversibile la vista. La ricerca include un trial clinico che inizierà a breve presso l'Università Cattolica e l'ospedale Policlinico Gemelli di Roma, nel quale verrà studiata l’azione di un collirio a base di NGF painless, che potrebbe contrastare la neurodegenerazione delle cellule gangliari della retina e dunque la cecità associata a questa rara forma tumorale pediatrica”.
Quale è stata la tua soddisfazione lavorativa principale?
“Prima di tutto poter guidare il mio team di ricerca. Inoltre, aver ottenuto col mio gruppo di ricerca significativi risultati sperimentali che si sono tradotti in importanti pubblicazioni. E’ questa la nostra gratificazione. E poi ci sono le soddisfazioni per la riuscita di un esperimento, perché dietro ogni esperimento c’è fatica e passione e perché un esperimento riuscito rappresenta la verifica di una ipotesi di lavoro. Grande festa!!!”
Laureata in Farmacia all'Università La Sapienza di Roma, Silvia Marinelli è stata uno dei tanti esempi di cervelli in fuga rientrati in Italia, dopo un periodo di attività lavorativa in Australia. Dopo il suo ritorno, nel 2006 entra come Senior scientist nella Fondazione EBRI, portando avanti anche progetti di ricerca indipendenti. “Questa professione ti appassiona profondamente – racconta Silvia -, ma a volte vedi il buio: i risultati non sempre arrivano nei tempi e nei modi che vorresti, gli articoli scientifici a cui dedichi anni di lavoro possono essere rifiutati, e spesso ci si trova a fare i conti con i pochissimi fondi stanziati per la ricerca che rallentano inevitabilmente le scoperte e la ricerca di nuove terapie”.
Quanto è difficile essere donna e madre in questa professione?
“Essendo una persona che vuole avere tutto sotto controllo, è certamente difficile riuscire bene nel lavoro e nella famiglia, specialmente quando i tempi obbligati della ricerca ti tengono legata al laboratorio fino a tardi, o a volte anche nei weekend, fino alla fine di un esperimento o per la scrittura di progetti di ricerca e manoscritti. Per ottimizzare la mia presenza in famiglia, ho programmato le mie giornate con cadenze specifiche, come ad esempio lo studio scientifico al computer prima della sveglia dei miei figli, o dedicare quel poco tempo a me stessa nei momenti in cui i miei figli fanno sport. Questa professione è difficile sia per un uomo che per una donna perché l’impegno e il tempo richiesti sono gli stessi. Probabilmente è necessario avere un partner comprensivo che ti supporti e non ti sia da ostacolo, come fortunatamente è successo nel mio caso. Un momento delicato per una donna che intraprende una carriera così impegnativa e costante e desidera al tempo stesso avere figli è forse durante i primi mesi di vita del neonato, quando ci sono bisogni specifici. La peculiarità di questo lavoro è che ti da’ una incredibile forza ed entusiasmo, grazie al quale puoi superare anche gli aspetti negativi e conflittuali tra il lavoro di ricerca e la famiglia e contribuire così alla scoperta di nuove conoscenze e terapie nel mondo scientifico e medico”.